Nel cuore di un expat
Per quanto ci si sforzi a immedesimarsi, esistono realtà che soltanto il cuore di un expat può capire.
Chi resta in patria vede soltanto la punta dell’iceberg: una bella città in cui vivere, amicizie internazionali, soddisfazioni professionali e foto stupende da sfoggiare sui social media. Ma quasi nessuno è a conoscenza del pesante bagaglio che gli expat devono portarsi dietro durante il loro lungo viaggio. Il cuore di un expat è infatti un groviglio di emozioni e contraddizioni spesso incomprensibili agli occhi degli altri.
Un expat ricomincia tutto da zero, come se nascesse una seconda volta.
Si parte e ci si ritrova soli davanti al mondo. Soli con una pesante valigia piena di sogni, obiettivi e aspettative, ma anche paure infinite che fanno fatica ad abbandonarci.
Appena iniziata la nostra avventura, siamo completamente soli davanti alle responsabilità, agli ostacoli e alle sfide quotidiane che ci aspettano. Incontriamo nuovi amici, facciamo nuove esperienze, i più fortunati trovano anche l’amore. Ma alla base di tutto, ci siamo sempre e soltanto noi stessi. Siamo noi le uniche persone sulle quali, almeno all’inizio, possiamo contare.
Al momento dell’espatrio inizia la nostra seconda vita. Con la differenza che i primi passi non saranno accompagnati dagli occhi attenti e premurosi della famiglia. I genitori potranno sostenerci solo a distanza, avranno sempre una parola di conforto per noi, ma da mattino a sera e per tutto l’anno il nostro pilastro siamo solamente noi.
Dall’esterno sembra tutto facile, tutto “normale”. In molti ci pregheranno di non lamentarci, quasi prendendosi gioco del nostro stato d’animo, perché questa vita in fondo l’abbiamo scelta e siamo stati “fortunati” a viverla. Ma ciò che loro non sanno è che questa “fortuna” ce la siamo sudata, contando solo sulle nostre forze.
Espatriare significa studiare, integrarsi, imparare la lingua, adattarsi.
Nel Bel Paese siamo abituati a ospitare molteplici turisti ogni anno. Quando viaggiamo o espatriamo, siamo noi ad essere gli ospiti, e non sempre siamo accolti come vorremmo. Ci aspettiamo rispetto, comprensione e tolleranza al nostro arrivo. Ma mai lo riceveremo se per primi non siamo noi ad integrarci, perché è il paese che ci sta ospitando e non il contrario.
Dobbiamo imparare in fretta una o più lingue straniere, adattarci alla burocrazia, ai costumi, alle abitudini alimentari, alle relazioni. Esattamente ciò che ci aspettiamo da uno straniero che arriva in Italia. In un contesto del genere è facile cadere nella tentazione del pregiudizio, convincersi che siano gli altri a sbagliare, che tutti gli stranieri ci trattino con distacco e indifferenza. La discrimazione purtroppo esiste, ma in buona parte dei casi siamo noi gli artefici delle nostre azioni. Siamo noi a doverci adattare al paese ospitante, non il nuovo paese ad adattarsi a noi. Gli stranieri siamo noi e dobbiamo lottare ogni giorno per emergere nella società, abbattere gli stereotipi e integrarci nel migliore dei modi.
Credete che tutto questo sia semplice?
Dall’esterno forse sì, perché da fuori l’espatrio sembra un mondo dipinto di rosa. Ma la realtà dei fatti è ben diversa e il processo di adattamento è lungo, tortuoso e impegnativo.
Il cuore di un expat è un vero e proprio ibrido di identità.
Ci ritroviamo a passare da una lingua straniera all’altra senza rendercene conto. Ci sentiamo italiani ma non troppo, ma ancora troppo italiani per sentirci stranieri. Incontriamo persone eccezionali a cui dire addio pochi mesi dopo. Impariamo a vivere solo nel presente, per non pensare a un futuro misterioso o ad un passato breve ma intenso. La vita da expat è così: tante persone che incrociano il nostro cammino, poche che restano, pochissime su cui contare davvero; e la sensazione perenne di sentirsi a cavallo tra due mondi.
Spesso ci mancano i punti di riferimento, le relazioni sono sfuggenti, la nostra tanto desiderata libertà si trasforma in solitudine e senso di smarrimento. Una parte di noi è legata all’Italia, l’altra è attratta dall’estero come una calamita. Ci ritroviamo così ad avere milioni di radici sparse in giro per il mondo, prive di un unico suolo fertile su cui farle crescere. Coltivare questo grande “giardino” della vita dà soddisfazioni, ma anche tante fatiche. Il nostro vivere nomade ci piace, ma al contempo ci confonde. Alterniamo il desiderio di libertà e di avventura a quello di una stabilità troppo difficile da trovare.
Noi expat siamo lunatici, curiosi di tutto, non ci accontentiamo mai. Abbiamo scelto una vita per la quale, che ci crediate o no, lottiamo a denti stretti ogni singolo giorno. Affrontiamo battaglie quotidiane che possono essere capite soltanto da chi le vive in prima persona. Per cui, sarebbe meglio contare fino a dieci prima di criticare, minimizzare o anche solo idealizzare troppo la vita all’estero. Il cuore di un expat è molto più fragile e misterioso di quanto si creda, e nulla di ciò che prova andrebbe dato per scontato.